This is not a Banksy Opportunity

Israele e Palestina, un’esperienza surreale, non sempre semplice ma in assoluto indimenticabile, mi sento di definirla così perché immergendomi in un groviglio di colori, sapori e odori lasciati dalle tracce storico-religiose e dai conflitti geopolitici non si può non rimanere colpiti dall’estrema coerenza che queste diverse culture mostrano, nella loro radicata tradizione, nel pieno rispetto del proprio vissuto. Questo tipo di esperienza ti lascia una testimonianza tangibile di tutta la storia passata di lì e che è ancora fortemente presente nella religione, nei costumi, nel cibo. Una delle zone più contaminate del mondo che porta con sé delle profonde cicatrici, esasperata dalle continue guerre territoriali e lotte di potere sull’altro, sul proprio vicino di casa, letteralmente.

“Il conflitto israelo-palestinese, tutt’ora in atto, sembra non voglia placarsi” ci racconta il giovane tassista dopo averci proposto un tour delle opere di Banksy tra le vie di Betlemme, all’ombra del famoso muro, QUEL muro, il muro che separa il popolo palestinese da quello israeliano. “A noi non è concesso andare in Israele, in realtà non è concesso uscire da Betlemme”. Si è presentato a noi con un cellulare, sfogliando la galleria piena dei murales di Banksy, ci ha detto il suo nome e poi ha aggiunto “Tradotto in inglese significa Safe”, ci scorta fino al taxi, mentre gli altri colleghi ci osservano da lontano, i miei amici salgono in auto, resto qualche passo indietro per fotografarne la targa, “Lui si chiama Safe, ok, ma siamo pur sempre in Palestina..” suggerisce il mio spirito cinico. Lungo il tragitto ci racconta quanto sia difficile la vita da “reclusi”, lui ha una laurea in turismo che per ora riesce a sfruttare solo accompagnando i visitatori nei luoghi che lo street artist di Bristol ha trasformato in vere e proprie attrazioni: “Banksy ha sicuramente contribuito ad aumentare il flusso di visitatori, nei suoi murales racconta la nostra voglia di pace” ci sottolinea mostrandoci su quel muro, dietro il distributore di benzina abbandonato, l’uomo che sta lanciando, al posto di una molotov, un mazzo di fiori. Si propone lui di scattarci delle foto e ci chiede di poterne scattare una con il suo cellulare per mostrarla alla famiglia, del resto se non fosse per lui non avremmo mai trovato quel posto. Ancora altri vicoli nascondono molto bene queste opere: dall’angelo che lascia cadere dei cuori dorati alla colomba della pace con il ramoscello di ulivo che indossa un giubbotto antiproiettile, tra una costruzione fatiscente e dei blocchi di cemento abbandonati, fanno capolino questi forti messaggi di pace, realizzati con la tecnica dello stencil, la più utilizzata dall’artista per questo tipo di opere: veloce e di facile riproduzione. Il tour prosegue alla volta del negozio di souvenir interamente dedicato a Banksy che custodisce, al suo interno, uno dei famosi graffiti con la piccola bambina che sta perquisendo un poliziotto, il tutto su di un muro esterno a cui intorno è stato interamente allestito il negozio per far sì che diventi attrazione per il pubblico.

A questo punto Safe ci accompagna al grande muro e ci indica la strada per quella che è una delle invenzioni più riuscite di Banksy: il Walled Off Hotel, un vero e proprio Hotel “vista-muro” allestito e interamente decorato con opere originali in ogni tipologia di stanza e prezzo. Al suo interno contiene una galleria di opere di artisti palestinesi emergenti e un piccolo museo sulla storia del conflitto che riusciamo a visitare e allo stesso tempo apprezzare per quanto si inserisca bene in un contesto inusuale come un albergo. La genialità nella bizzarra scelta dell’artista è che il tutto è finalizzato a far conoscere la situazione storico-artistica della Palestina al di fuori di quel muro, unico paesaggio scrutabile da ogni camera. La galleria si trasforma quindi in uno spazio che permette di far conoscere e apprezzare gli artisti Palestinesi che sicuramente non godono di grande visibilità.

Il Walled Off ci insegna come una semplice struttura turistica possa diventare strumento divulgativo di arte e storia, alla portata di tutti, in maniera completamente libera e gratuita, in piena filosofia street. Sì perché la street art, tanto criticata e spesso considerata “non-arte” ha un fine nobile, quello di avvicinare chiunque ad osservare l’opera, fruendone senza schemi né preconcetti, cercando realmente se stessi, riconoscendosi. In questo modo Banksy rimane dietro le quinte di tutto questo spettacolo che è la vita raccontata per dare l’opportunità a un popolo, al quale è stata tolta parte della libertà di espressione, di dimostrare di aver molto da raccontare e di aver bisogno che venga tesa una mano, dall’altra parte del muro, magari da una bambina sollevata da dei palloncini.

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Street Art nei musei?